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In
ogni
ricerca
formale la scoperta dell’interiorità
coincide con un abbandono della figura. L’arte visiva ha
sfondato storicamente i limiti fra la rappresentazione
naturalistica delle cose e il loro rispecchiamento profondo,
soggettivo e sensibile. E la figura in questo transito è
sempre risultata nuova, mutata, riaperta alle
interpretazioni. La ricerca di Simona Maleti
ha origine in processi associativi e inventivi di matrice
surrealista.
Nei suoi
primi tentativi si notava la
costruzione di figure ibridate, con il perseguimento, non
privo di maniera, di significati sovvertiti, improbabili o
indebiti. Si coglieva già in quelle prime prove e sotto la
figurazione fantastica, una tendenza a descrivere una sorta
di materia bio-psichica: vegetazioni mentali, escrescenze e
ramificazioni diventavano pretesto all’estro minuzioso del
disegno. Era questa sostanza, fisica e inventiva a un tempo,
pur in secondo piano allora, il fondamento della ricerca
futura. In questi nuovi “paesaggi interiori” Simona
tralascia completamente l’affioramento di marca surreale,
riduce la scena pittorica e la sintetizza.
Quando
la figura si sposta dal
campo pittorico, di solito viene sostituita dalla materia.
La si chiami colore, luce o matericità, è la materia del quadro
che inizia a interessare, oltre la figura. La consistenza
avvertibile della pittura, la sua portata fisica e
semantica. I nuovi paesaggi di Simona sono quadri
disabitati, dove la matrice figurativa resiste solo nel
richiamo al varco, al cretto, alla gola, al cratere. Terre
di transito, valichi dal rosso infernale all’azzurro,
stretti nella pece del nero: metafore fisiche di un lotta
interna, crisi lampeggianti e ricerche d’equilibrio e
salvezza. Sono selve e gangli, piantagioni e foreste i
disegni, dove la serialità dei tronchi viene improvvisamente
negata dall’emergere di un’arborescenza diversa,
attorcigliata, libera e creativa nel suo manifestarsi in una
forma eccentrica, isolata, compiuta nella dirompenza ribelle
e imprevista della sua energia
Il
gusto
nuovo della materia si svolge nello
spessore, nella “crosta” impiastricciata con forza
abbondante sulla tela, nel pronunciamento del colore alzato
sulla superficie, e si complica includendo qua e là
agglomerati di ciottoli e pietre. L’ingresso di questi
materiali non è che l’esito avanzato di una ricerca che
tende alla terza dimensione e la trova nelle “torri
preziose”: costrutti di pietre scabre barbaramente
ingioiellati di minerali e sassetti, sollevati in verticale
dalla terra interiore, questi aggetti turriti translano
nella forma il dettato di rinascita e di conquisa del sé
ricavato dalle filosofie orientali. L’albero ribelle, la
torre preziosa si ergono improvvisi e imprevedibili, nella
foresta anonima o dalla piattezza terrestre, emblemi
dell’identità che cerca ed esprime una sua cifra specifica.
E la ricerca d’arte si sposta francamente sul terreno di
una crescita possibile, scandisce le stazioni di una
evoluzione, annuncia una svolta nella personalità.
Paolo Donini
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